
CHE COS’È LA REALTÀ? – By Massimo Mattioli.

Page 3 of the Pinky story “ Che cos’è la realtà? “.
Un giorno qualcuno mi fece la classica domanda: “ Da dove prendi tutte queste idee? “. Non
sapevo cosa rispondere. Ma la mia mano si alzò da se’ sopra la mia testa, strinse il pugno come
per afferrare qualcosa e la tirò giù. Ripeté quel gesto da varie direzioni. Dissi: “ C’è un Universo di
idee, qui fuori. “
Il tizio restò di sasso per qualche secondo, poi chiese ancora: “ E come fai a cuccare quella
giusta? “ Risposi: “ Semplice. Non prendo la mira “, citando una battuta di Joe Galaxy.
Di tutti i personaggi che ho fatto vivere nel corso degli anni, PINKY è sicuramente quello che come
nessun altro m’ha fatto afferrare idee. Più di 1000 storie pubblicate: impressionante! *
Quel tizio potrebbe risbucare fuori e chiedermi: “ Non ti sei ancora stancato del tuo coniglio rosa? “
E io gli risponderei: “ Per niente. Anzi, mi dà sempre più gusto! “ E lui, incredulo: “ Cioè? “ E io: “
Per me PINKY non è uno stereotipo, ma un vero e proprio essere vivente. Ha una sua personalità
e un suo mondo di esperienze. E si evolve, ecco il punto. Io sono il medium che lo traduce sulla
carta e mi evolvo con lui. Sono come un prestigiatore che aspetta ogni volta di scoprire in che
modo nuovo il coniglio uscirà dal suo cilindro. E’ così che non m’annoio mai. “
Ci sono state varie fasi di evoluzione. La prima è arrivata molto presto, quando a PINKY sono
spariti i dentoni sporgenti. Poi, da piccolo e tozzetto, è cresciuto e si è slanciato. Un po’ alla volta
sono arrivati nuovi personaggi, come lo scienziato pazzo Crocodylus e lo scarafaggio Scarrafone.
Nella grafica delle storie sono arrivate quelle a sviluppo orizzontale con le piccole frecce a indicare
il percorso, in seguito quelle di una sola pagina della serie “Ufo” e subito dopo della serie
“Fantasy”. Altre serie famose sono state quelle degli Universi Paralleli intitolate “Senza orecchie” e
“Senza naso”, le storielline monocolore senza parole, quella dei “Blues” ( che dura tuttora ) e altre
ancora.
Nella sua lunga carriera di fotoreporter, PINKY ha fotografato le cose più incredibili: un mostro di
Saturno, l’uomo invisibile, una boiata pazzesca, un pesce volante, fantasmi ciccioni, lumache
gelose, lupi mannari cretini, punti esclamativi cannibali, pattume-zombie, radici quadrate che si
scambiano ricette di cucina, cocomeri rissosi, un brivido, uno spiffero freddo, alieni puzzolenti,
mummie innamorate, maionesi impazzite, scivoloni pazzeschi, materassi che rognano, nuvolette di
bacilli, formiche da corsa ecc…
E se c’è una cosa che è rimasta immutata nel tempo, questa è il divertimento che prova mentre
scatta i suoi CLIK con il suo ( quasi ) inseparabile apparecchio rosso, suo unico indumento. Eh già,
PINKY è nudo. Ma non sempre: d’inverno indossa una sciarpa, al mare ha i boxer e quando va a
un appuntamento galante mette su un bel papillon!…C’è una logica, in tutto questo? No, per
fortuna. L’umorismo fa parte del gioco e il gioco fa parte dell’immaginazione.
Nel mondo di PINKY può esserci di tutto: pesci che russano, la Luna che fa le parole incrociate,
galline che recitano l’Amleto, Saturno che racconta barzellette alle stelle, dinosauri vestiti da stilisti,
lampioni che giocano a poker, odori che baciano nasi, pere in lacrime, tramonti a mezzogiorno,
sogni stupidi, mostri di cioccolato, pomodorini in fuga, cactus che fanno jogging, zucchine
assassinate, insetti obesi, zanzare ubriache, torte che lanciano clown, pattumiere con l’antifurto,
cozze canterine, rose pazze…
Si riaffaccia quel tizio e mi spara un’altra domanda a bruciapelo: “ Ma allora a ‘sto punto per te
CHE COS’E’ LA REALTA’? “ L’ha rubata dal titolo di una storia di questa antologia. Gli rispondo
con le parole dell’essere orrendo con 2 mani sinistre di quella storia: “ La realtà è un fico secco. “
Resta senza parole. Era ora.
C’è ancora una cosa da dire sull’evoluzione di PINKY.
Questo libro apre una nuova fase, perché è il primo grande volume che raccoglie le sue storie. Se
fosse un musicista rock, rappresenterebbe, dopo aver pubblicato un bel po’ di dischi, il suo primo
grande concerto dal vivo.
Io me ne sto tra il pubblico a sentirlo suonare e cantare, e mi sembra di stare a un concerto dei
Beatles, su un altro pianeta.
Buon viaggio, PINKY!
Preface by Massimo Mattioli from the book “ PINKY-IL CLIK PIU’ VELOCE DEL MONDO “ . 2006 – Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.,Milano.
© Massimo Mattioli
* The total is about 1600.
FUMETTO D’AZZARDO – An interview with Gabriella Bernasconi.

Image from the B Stories episode “ Zero – Cracked Landscapes # 1 “.
Massimo Mattioli: un giocatore d’azzardo, in mano ha carte magnifiche, la grafica, la pubblicità, la sperimentazione artistica e le rischia continuamente in una partita che va avanti da più di vent’anni. Sembra interessato solo a sfidare il caso: vince sempre, non bara mai.
GB Qual è stata l’influenza del fumetto sulla tua infanzia e cosa ne è rimasto in te ?
MM Da piccolo e anche dopo ho divorato tonnellate di fumetti di ogni genere, ma in particolare
cose americane, fumetti umoristici e d’avventura.
GB Qualche nome?
MM Mah, roba tipo Gordon, Mandrake, L’Uomo Mascherato, e assieme a queste produzioni
mitiche c’era il Paperino di Carl Barks che è stata la mia più grossa passione e lo è tuttora. Solo
dopo, crescendo, ho scoperto l’importanza di questo Carl Barks, ma allora, da ragazzino,
selezionavo le storie d’istinto, eppure riconoscevo quel disegnatore, sentivo che mi dava delle
cose che non mi dava nessun altro cartoonist di Paperino e di Topolino, cioè mi apriva proprio la
mente all’immaginazione, all’umorismo anche…
GB …che resta una costante delle tue storie.
MM Io poi quell’umorismo l’ho deformato e ho preso delle strade mie alterando certi canoni grafici.
Però la prima fonte del mio immaginario è stato veramente Carl Barks.
GB E, oltre a questo, quali consideri i tuoi maestri, dentro e fuori del fumetto? C’è un regista, un
attore o, che so, uno scrittore, un pittore che ti ha particolarmente influenzato?
MM Ti premetto una cosa: sono discretamente ignorante su tante cose e non mi dispiace
nemmeno esserlo, diciamo così che la cultura io non me la coltivo ossessivamente, non voglio
essere informatissimo su tutto, molte cose preferisco ignorarle.
GB …o fingi di ignorarle…
MM Non è che finga, è che sono contento di essere un po’ ignorante, così posso sempre fare delle
scoperte. Quando mi è stato detto “…vedi, quella cosa è proprio una cosa alla…” e giù il nome di
un famosissimo artista pop, e sono state fatte delle associazioni bellissime, beh mi sono stupito,
perché non sono sempre, anzi non lo sono quasi mai, cosciente razionalmente di quello che
faccio; parto da un’intuizione molto precisa che poi sviluppo.
Ti faccio un esempio: “Joe Galaxy e le perfide lucertole di Callisto IV”, la lunga storia a puntate
apparsa su “ Frigidaire “, che ha sollevato parecchie polemiche, ebbene, si è conclusa come
un’implosione, si è capita poi alla fine tutta perfettamente e io stesso ne ho intuito il significato
soltanto quando l’ho terminata, vale a dire che era proprio tutta un’implosione dalla prima all’ultima
puntata e praticamente solo nelle ultime due pagine c’era, in qualche modo, l’impronta di realtà. Il
resto era tutta una serie di universi accavallati che andavano incrociandosi per conto loro. Lo
stesso vale anche per queste B-STORIES; più che quello che voglio fare, so quello che non voglio
fare assolutamente.
GB In testa quindi hai qualcosa di molto chiaro.
MM Di chiarissimo, ma è una semplice intuizione. Devo sottrarmi alla tentazione di aggiungere, di
appesantire, di decorare questa intuizione che deve svilupparsi in concreto tenendo conto che va
sotto il naso dei lettori: loro la guardano, l’annusano e sono loro che la completano. E’ inevitabile
che le tentazioni non manchino, se non altro perché siamo collegati a duecentomila mass media
che ci moltiplicano i messaggi, e quindi si è tentati di abbellire, di aggiungere, di autogratificarsi, di
mettersi in evidenza con belle forme sia di scrittura sia di immagine, cioè di fare della letteratura.
GB Se ho ben capito, delle tue storie non fai mai uno schema completo e definitivo. Stai solo in
guardia dalle trappole che vuoi evitare: mi pare che sia un espediente abilissimo, molto sofisticato,
come nella scultura, il procedere togliendo il superfluo.
MM A me interessa più che altro il risultato.
GB Ma il risultato lo conosci già in partenza?
MM No, ho l’intuizione di come potrebbe essere, ma è solo al punto di arrivo che davvero mi si
completa. Inizio e vado avanti procedendo e scartando parecchie cose, faccio un’opera di
selezione e quindi di sintesi.
GB Con una sceneggiatura in mano, immagino…
MM Vedi, per queste B-STORIES, ad esempio, ho scritto le sceneggiature, ma poi ho messo la
matita sul foglio, ho pensato soprattutto al carattere della serie, al tipo di storia e all’episodio che
volevo scrivere in quel momento e poi sono partito. Certe volte i personaggi mi prendono la mano
e anche se io prima li pensavo in un modo, poi loro acquistano la propria identità.
GB Insomma tu guidi, ma poi ti lasci portare. Nelle tue storie il segno può essere più o meno lo
stesso, ma tra questa serie e Joe Galaxy, ad esempio, c’è una evidente diversità. Ora mi chiedo se
esiste un personaggio ricorrente sotto mentite spoglie…A chiunque segua le tue storie è chiaro
che i personaggi mutano spesso pelle, eppure tutti devono in qualche modo esprimere, pur nella
varietà tipologica, certe tue esigenze.
MM Mah, forse tutte queste tipologie di personaggi hanno qualcosa in comune, da Vermetto Sigh a
Joe Galaxy in tutta quella saga sfasciata di Callisto IV a Pinky , il coniglietto rosa fotoreporter.
Ecco: tutti questi personaggi si portano sempre nelle loro avventure un po’ di immaginazione e
anche di ottimismo.
GB Comunque tu hai sempre una risposta beffarda.
MM Ho il terrore delle definizioni. Cerco proprio di spostare certi miei meccanismi al di là delle
definizioni, che considero una cosa mortale, poco creativa sia per l’autore sia per chi riceve poi lo
stesso messaggio standard, che ha sempre lo stesso gusto, come un caffè liofilizzato.
Infatti è per questo che cambio, in apparenza s’intende, molto spesso il mio stile. In queste B
STORIES è la prima volta che affronto sistematicamente lo stile che io chiamo pseudorealistico.
GB Fra Ted e Al, protagonisti di questa prima B-STORY, c’è una differenza di tratto: l’uno più
fotografico, l’altro più grafico. Una caratterizzazione voluta?
MM E’ tutto voluto per raggiungere con ogni mezzo lo scopo di una lettura più emozionale che
razionale. Quindi ho fatto dei piccoli slittamenti di plausibilità, anche con i colori fuori registro, per
dare l’idea di una cosa non ben messa a punto, che è poi l’idea generale di tutta la serie.
Cioè: sono tutte B-STORIES, questo è l’essenziale. B-STORIES, non A-STORIES. Sono delle
storie che non vogliono essere importanti, delle hamburger-stories. Ma è chiaro che a guardarle in
controluce ci si trovano parecchi significati e riferimenti.
GB Torniamo ai tuoi personaggi: mi hai detto più o meno come nascono. C’è stato qualcuno di cui
ti sei disfatto definitivamente e come è stato possibile se è vero, come mi hai detto, che tutti i tuoi
personaggi sono caratterizzati da una libera, inesauribile attività dell’immaginazione? Si può
uccidere l’immaginazione?
MM Non è così facile a spiegarsi. Prendi ad esempio Squeak The Mouse: una saga del gatto e del
topo in forma praticamente cinematografica, da cartone animato, con elementi di cinema
dell’orrore, cinema iperrealista dell’orrore. Io ho esasperato praticamente il classico cartone
animato degli inseguimenti e spiaccicamenti innocui di Tom e Jerry portandoli su un piano di
iperrealismo, seghe a motore, asce in testa, squartamenti, orrori veri, con tensioni vere.
In realtà avevo intenzione di farne solo un episodio, cioè quello dove il topo viene inseguito dal
gatto a cui tira pomodorate, si diverte moltissimo questo topo furbo mentre il gatto affamato lo
insegue senza mai riuscire a prenderlo, ma alla fine inaspettatamente lo afferra e se lo mangia.
Quell’episodio doveva finire lì. Poi mi chiesero di continuarlo …ma io avevo ucciso il protagonista
in modo inaspettato e violentissimo rispetto ai canoni dei cartoni animati! Allora ho allargato tutte le
mie gioie sadiche da appassionato di film splatter in altri tre episodi sviluppando il tema del topo
morto che ritorna come zombie a vendicarsi del gatto e regolarmente viene distrutto alla fine di
ogni episodio, ma ritorna puntuale nei successivi sempre più sfatto, fino a diventare una gelatina
amorfa e poi disintegrarsi.
GB In che rapporti vedi le tue B-STORIES con la realtà della vita e la realtà storica?
MM Il mio fumetto assorbe tutto dell’attualità, anche se poi ne filtra solo alcuni elementi, perché
non si può prendere tutto, è veramente troppo.
GB In “ The dark side of the Sun “ sembra trasparire una certa tua visione del mondo.
MM No, non direi che è necessariamente la mia, semmai dei miei personaggi. Sarebbe assurdo
confondere il pensiero dell’autore con il pensiero e le azioni dei personaggi, non ti pare?
GB Eppure viene fuori un tuo modo di guardare la realtà grottesco, un po’ cinico…
MM Più che giudicare la realtà, a me interessa provocarla, stimolarla, distorcerla. La cosa che mi
piace di più è il gioco, il gioco in tutti i suoi significati possibili, e per me fare delle storie è il gioco
per eccellenza, che può essere umoristico, tenero, ma anche sadico, o provocatorio, magari solo
sotto il profilo stilistico. Insomma per me il gioco è la forma più bella e più libera di espressione
dell’immaginazione contro la tirannia della realtà.
Le singole storie e quello che vi succede sono soltanto degli strumenti per suscitare
un’impressione: cerco di scegliere il veicolo più appropriato a questo scopo. Non mi interessa fare
il decoratore o lo stilista del fumetto; per me le forme dello stile sono soltanto dei mezzi
d’espressione per ottenere un risultato nel modo più sintetico possibile e forse in questo magari
vado un po’ controcorrente, visto che da parte di molti si tende invece ad arricchire lo stile, a
renderlo più carico, più analitico possibile.
GB Sì, probabilmente questa tendenza nasce dalla paura del disegnatore di venire scavalcato da
altre forme di espressione. Ed ecco pronta per te un’altra domanda: il fumetto sopravviverà o sarà
soppiantato da altri mezzi di comunicazione ?
MM Direi che lo è già e che io con questa serie in un certo senso vi alludo: l’ho chiamata B
STORIES, un titolo che mi sembra giusto. Ripensandoci mi è venuta in mente un’analogia tra
questo periodo in cui un sacco di mass media stanno un po’ soppiantando il fumetto e il periodo
degli anni Trenta, quando il cinema ( che è la mia più grande passione ) attraversava un periodo di
crisi. Cosa si fece allora per affrontare la crisi? Nel cinema si introdusse il doppio biglietto, double
bill, che permetteva di vedere due film al prezzo di uno, il film A e il film B.
Il primo era importante, fatto con grossi mezzi, attori di fama, ricche scenografie, poi c’era il film B,
un’ora, un’ora e dieci, girato molto in economia, spesso da sconosciuti, che solo dopo sarebbero
diventati famosi. Questi erano i B-Movies e adesso io tento di fare qualcosa di equivalente nel
fumetto, è un’idea tutta da sviluppare, ma che può ispirarsi a quei film-hamburger, roba molto
veloce, con tematiche meno importanti, ma capaci di sviluppare temi cheap dell’immaginario
popolare e che finivano spesso per avere più successo di tanti film a grosso costo, polizieschi,
storie di giungla e scimpanzè, fantascienza di cartapesta…
GB Ancora due parole di presentazione a questa nuova serie.
MM Sono delle storie di un unico filone, non ben classificabile, un po’ fuori registro, una serie che
va ad inserirsi in una rivista blasonata come Corto Maltese di cui vuol diventare il secondo film, il
B-Movie, piccolo film di poca importanza di fronte ai grandi classici protagonisti dell’avventura.
Roba in parte diversa, perché qui non ci sono tempeste di mare o di sabbia, non ci sono peripezie
attorno al mondo, ecc. A me piace che l’avventura più che estensiva sia intensiva. Non ho regole
precise, perché le regole del gioco sono il gioco stesso e così ogni storia è una storia molto
diversa dall’altra.
GB …e diversa a seconda del lettore che la guarderà con la propria immaginazione.
MM Appunto, il lettore voglio che sia veramente libero, magari anche di schifarsi e comunque di
reagire in qualche modo a questo serial, chiamiamolo così visto che c’è l’idea di fare delle storie
secondo i canoni del telefilm più che del fumetto. La differenza tra questo serial e le mie storie
precedenti sta nell’andare “ indietro tutta “, per dirla con Arbore, nel senso cioè di riscoprire un
rigore narrativo nella costruzione delle sceneggiature, dei dialoghi, dell’ambiente e dei personaggi
e nell’operare degli scarti di plausibilità. Ne risulta una storia verosimile e improbabile nello stesso
tempo.
GB E questo grazie a quella precisione e a quella cura del particolare che, per esempio, in
letteratura solo il racconto breve sa valorizzare appieno.
MM Proprio così. Sono dei racconti brevi, un genere letterario che amo molto, perché di una
situazione, di un personaggio sa cogliere veramente l’essenziale. E io voglio raggiungere
l’essenziale attraverso un’operazione di sottrazione, di sintesi estrema. Entro in una struttura
narrativa rigorosa, ma voglio che il risultato riesca imprevedibile. Voglio che ci sia del gioco,
nient’altro.
This interview was recorded in the editorial office of Corto Maltese for the launching of the B-STORIES series in the magazine . February 1988 .
TRAPPED BY LIFE – By Dale Luciano.

Image from “ Magma “, episode # 4 of Squeak the Mouse.
As ironies go, the case of Squeak the Mouse offers a few choice ones.
For openers, U.S. Customs’ seizure of a shipment of Mattioli’s Squeak the Mouse at JFK Airport
last year ( and the two-day obscenity trial which resulted in the shipment’s release ) have brought
the book a certain notoriety it would otherwise not have achieved. It has certainly provided the
basis for an effective marketing campaign.
For another, proceeds from the sale of the book are going to defray legal fees incurred by Squeak
’s American importer, Catalan Communications, in defending the book against obscenity charges.
Bernd Metz of Catalan has even attached a sticker to each copy of Squeak, proudly certifying that
“ This copy of Squeak the Mouse is from the shipment of books seized by U.S. Customs at JFK
airport on August 1, 1985 “. The sticker goes on to applaud the reader’s purchase of the book as
an act of support for “ the fight for rights guaranteed by the First Amendment “.
Perhaps the central irony is that certain indigenous aspects of American pop culture come back to
haunt us, by means of Mattioli’s satirical intentions, in Squeak the Mouse. The American Customs
officer who seized Squeak the Mouse couldn’t have been aware that the book is a mordant and
wickedly funny satire of American cartoons and horror movies. Mattioli starts out innocently
enough, paying a seeming homage to American cartoons; he quickly strips the veneer away from
the playful, two-dimensional surfaces to unfold the chapters of a grisly, nightmarish succession of
killings and mayhem.
The first few pages, in which Squeak is aggressively pursued by a cat, resemble nothing more
outrageous or startling than a Tom and Jerry or Road Runner cartoon. The familiar cat-and-mouse
game turns suddenly grotesque. The cat’s mounting rage culminates in his capturing Squeak,
ripping off his head , hurling it viciously at a wall, eating the body with considerable relish, and
strolling contentedly away from the scene. End of first chapter.
The cat picks up his girlfriend and goes to a lively party at a friend’s place, at which point the
partygoers are individually slaughtered ( in the brutal, explicit manner of the Friday the 13th films),
by an avenging, indestructible Squeak the Mouse.
The Friday the 13th references are quite explicit, to the point of the characters being killed
immediately upon completion of sexual intercourse. The action continues thus through the book’s
four chapters, which carry subtitles like “ Zombie Night “ and “ Magma “, until Squeak is effectively
destroyed, or so we think. ( The groundwork is laid for yet another “ chapter “.)
The point of Squeak the Mouse may be that the distinctive vitality of American pop culture consists
of the demented mix of the innocence expressed in its animated cartoons and the corruption
manifest in the youth-baiting, grisly exploitativeness of such fare as Friday the 13th. A more down
to-earth reading might be that Mattioli simply sets out to make fully explicit the grotesque,gore
laden implications of the guignol premise behind many cartoons, for the purpose of lampooning
some familiar movie references.
In a sequence that recalls Gremlins, the cat annihilates Squeak by trapping him in a kitchen
blender, and there is also a pointed reference to Cronenberg’s Videodrome . The cover depicts
Squeak taking off the top of the cat’s skull with a chainsaw.
Whatever Mattioli’s inspiration, the net result is an explosion of comics form. The grisly succession
of murders and the cat’s desperately violent attempts to stop Squeak’s reign of terror comprise a
kind of macabre comic rhapsody, a deranged intermingling of fictional realities, with cameo
appearances by Mickey Mouse and Donald Duck.
Mattioli’s evocation of the animated cartoon form is rather nifty: his animal characters are
amusingly, expertly drawn, and the panel progressions proceed at a breakneck clip. If you aren’t
offended by the explicit sex and gore which form the basis for the exploitation horror movie satire –
or even if you are offended, which is a more likely reaction – you may find Squeak the Mouse
funny.
NOTE. Squeak the Mouse has a number of self-proclaimed “ X-rated sequences “ in which the
characters engage in explicit sexual activity. It goes without saying that the sexual material more
than the gore-laden stuff accounts for the Customs seizure of the book.
On the surface, Squeak looks like a kid’s book, and you can see that a Customs agent might freak
out at the prospect of this material getting into the hands of young children .
Make absolutely no doubt about it: Squeak the Mouse is strictly adult fare.
Excerpt from the article “ Trapped by life: pathos and humor among Mice and Men “ by Dale Luciano, published in The Comics Journal magazine N.113 – December 1986. ©The Comics Journal, inc.
IL TENERO DELIRIO DELLA CAROTA MANNARA – By Daniele Barbieri.

Page 2 of the Pinky story “ Alta Moda Blues “.
Perché un coniglietto rosa?E poi PINKY sembra quasi un nome da personaggio femminile; o
comunque un nome per qualcosa di tenero e coccoloso. D’altra parte, a guardarlo, a prima vista
Pinky può apparire davvero tenero e coccoloso tanto più che è un personaggio del Giornalino ,
gloriosa rivista anche e soprattutto per bambini, e sembra disegnato in uno stile adatto ai più
piccoli.
Di nessun autore di fumetti quanto di Massimo Mattioli si può dire veramente che l’apparenza
inganna. E anzi tanto più qualcosa realizzato da lui appare tenero e innocente, e tanta più malizia
ci sarà nascosta dietro, ma d’altra parte, tanta più malizia ci scopriremo e tanta più tenerezza e
innocenza ci sono in realtà ancora più profondamente nascoste. Non si può infatti scrivere e
disegnare una serie come PINKY per 36 anni senza una profonda innocenza e tenerezza, ma
nemmeno senza una malizia pervasiva e deflagrante. Un po’ come succede nei bambini stessi, in
fin dei conti, che sono bravissimi a essere l’una e l’altra cosa insieme.
La continua serie di esplosioni umoristiche delle pagine di PINKY è probabilmente legata proprio a
questa natura ambivalente del suo autore, capace di sorprenderci e divertirci in ogni pagina,
riuscendo a essere tenero e paradossale nello stesso tempo. Basta leggersi le storielle che sono
raggruppate qui nella sezione Fragolina & Carciofino : da un lato sono altrettante prese in giro
della passione amorosa ( a partire dal titolo della sezione ), dall’altro sono tutte delicate descrizioni
di un sentimento meraviglioso e positivo, e non c’è alcun dubbio che esso lo sia.
Semmai, quello che fa ridere il lettore abituale è vedere PINKY che agisce, nelle storie di questa
sezione, proprio secondo il proprio aspetto, e diventare tenero e coccoloso nel comportamento
come appare nel disegno. Di solito, il nostro personaggio dimostra infatti una verve molto più
guerriera. Non che sia un violento: questo, certamente no. Ma è uno che si dà da fare, dotato di
intraprendenza, e che quando si deve arrabbiare si arrabbia. Ed è, soprattutto, come ogni bambino
degno di questo nome, uno capace di immaginarsi le cose più assurde e di viverle da dentro sino
in fondo, con quella naturalezza e stupore che contraddistingue coloro che si stanno ancora
aspettando dal mondo un universo di novità.
La stessa naturalezza e divertito stupore sembrano attraversare un po’ tutto il lavoro di Mattioli,
sempre all’impronta, nella sua non indifferente varietà, dell’accostamento caustico, e insieme,
paradossalmente, del sorriso intenerito. Non sarebbe difficile vedere alle sue spalle la tradizione
dell’underground americano, che fa dello sberleffo il centro della propria poetica ( e c’è poi anche
all’interno di quel mondo chi a sbeffeggiare è grande come Robert Crumb, e chi si ferma lì ), ma
credo che una radice più profonda dell’immaginario di Mattioli arrivi sino a Elzie Crisler Segar,
l’autore di Thimble Theatre, e inventore di personaggi come Popeye ( Braccio di Ferro ), Wimpy
( Poldo ) e Olive Oil, al quale si porge anche, in una pagina di questo libro, un piccolo ma
significativo omaggio. E’ infatti a Segar che può essere fatta risalire questa linea di humor che è
insieme delirante e delicata, dove personaggi sempre estremamente umani dicono o fanno cose
strampalate, sviluppando trame in apparenza demenziali che si rivelano comunque alla fine ( ed è
sempre un po’ una sorpresa ) coerenti e significative.
Certo, la componente di origine underground era quella più in evidenza quando, negli anni
settanta, Mattioli prendeva parte alle operazioni dissacranti di Cannibale, insieme con Filippo
Scozzari, Andrea Pazienza, Stefano Tamburini e Tanino Liberatore, e che poco dopo si trovava tra
gli autori più amati di Frigidaire, sino a creare dei veri e propri cult comics di quel periodo. Ma il suo
sberleffo era forse il più intellettuale di tutto il gruppo, giocando nel mettere alla berlina, l’uno dopo
l’altro, i luoghi comuni della narrativa di massa, dalla fantascienza all’horror-splatter, ora attraverso
fredde operazioni ( molto concettuali ) di ricontestualizzazione, ora tramite saporite parodie in cui
generi lontanissimi arrivavano a essere imprevedibilmente sovrapposti. E il lettore si trovava in
questo modo a riconoscere, alterato e straniato, il paesaggio della propria quotidianità
massmediatica, reagendo a seconda del caso con un sorriso amaro o con risate fragorose.
PINKY, da parte sua, appartiene ovviamente a questa seconda categoria, come si conviene al
target cui è principalmente ( ma non unicamente ) dedicato. Mattioli ha astutamente attribuito al
proprio personaggio la professione di fotoreporter, posizionandolo in maniera evidente al centro
dell’universo della comunicazione. In altre parole, quando PINKY non vive direttamente delle
avventure, le può comunque documentare; e il ruolo del reporter è per sua natura sufficientemente
vicino a quello dell’investigatore per potere, di quando in quando, assumerlo direttamente; così
che, in fin dei conti, il nostro eroe è professionalmente legittimato a essere ficcanaso, esploratore,
nottambulo, chiacchierone, ad avere opinioni e a confrontarsi con tutto.
Quello che colpisce è la capacità dell’autore di riportare a questo universo comunque infantile,
bambinesco, quella medesima critica dei luoghi comuni mediatici che egli realizzava in maniera
molto più intellettuale qualche decennio fa. Tutto è più semplice e più affettuoso qui, ma in questa
semplicità e tenerezza si individua abbastanza facilmente lo spirito graffiante e l’attenzione per i
luoghi comuni delle sue produzioni per adulti: anzi, sono proprio i luoghi comuni a fondare
l’umorismo di questo fumetto.
Leggiamo la serie dei Blues. C’è una narrazione in prima persona che accompagna tutte le
vignette. Non è difficile riconoscere lo stile proprio dei detective cinici e scafati della letteratura
hard boiled. Qua e là, qualche “ oh yeah “ riporta alla mente anche il raccontare musicale e
strascinato del bluesman, con quella negatività e tristezza che lo avvicinano al Philip Marlowe della
situazione. Ma i delitti su cui l’indagine di PINKY va a indagare sono pura demenzialità; basta una
scorsa ai titoli: “ Pennarello morto blues “, “ Camembert blues “, “ Alta moda blues “… Le modelle
carote trasformate in carote mannare da un finto profumo regalato da uno stilista concorrente sono
da un lato un modo per mettere alla berlina tutti i lupi mannari del cinema ( e questo è sicuramente
il messaggio recepito dai piccoli lettori ), ma al tempo stesso Mattioli riesce a introdurre in un
fumetto per bambini il tema della concorrenza spietata tra stilisti e quello del mondo frivolo e
superficiale della moda. E poi: chi può aver ucciso un pennarello, che ha usato il suo ultimo
inchiostro per scrivere a lettere tremolanti le iniziali del suo assassino? E come si potrebbe
sospettare che una fosca vicenda di gelosia casearia stia dietro alla morte violenta del
Camembert?
Storie che si sviluppano secondo la falsariga di queste le abbiamo viste tutti, grandi e piccoli, alla
TV e al cinema, ma questa iniezione di assurdità ne rende il seguito imprevedibile, e ci costringe,
ridendo, a renderci conto di quante vicende del nostro universo comunicativo sono costruite
praticamente al medesimo modo. Ancora più allucinate sono le storie degli Universi Paralleli, dove
viene sviluppato un tema tipico della fantascienza attraverso invenzioni così deliranti da meritarsi
di suscitare l’invidia di un Kurt Vonnegut ( che di universi paralleli se ne intendeva parecchio ). Tra
l’universo parallelo delle scatolette, quello delle pile-zombie e quello della frittura si consuma la
sublimazione del banale-quotidiano nel banale mass-mediatico.
Non c’è molto da stupirsi se PINKY è da sempre uno dei personaggi più amati dai giovani lettori
del Giornalino. Non c’è nemmeno molto da stupirsi se è amato anche dagli adulti.
Tutto sommato, il Mattioli di Joe Galaxy non ci ha affatto lasciati orfani.
Preface by Daniele Barbieri from the book “ Massimo Mattioli – I maestri del fumetto “ N.35 .
© 2009 per l’ edizione speciale edita da Arnoldo Mondadori Editore S.p. A.
© Massimo Mattioli.
B STORIES – An interview with Hans Keller.

Page 2 of “ The killed ( scar – face ) “ in German version, from B Stories.
Die interviewauszüge entstanden in Rom. Und da steht der blinkende Pop-Wachtturm Mattioli,
dessen JOE GALAXY oder SUPERWEST direkteste US-Anleihen verraten. Bunt zu farbig,
Fabulier-lust zu Fabulierfreude: Übereinstimmendes zwischen Usa und Italien erleichtert die
kreative Fusion. Gleichzeitig schafft das mit Erfolg angewandte “ if you can’t beat them, join them “
Distanz, wer sich “amerikanischer als die Amerikaner” (Mattioli über SQUEAK THE MOUSE )
gebärdet, macht sich bei denen suspekt, da hier Spott und ironie gewittert werden muss, zwei
Dinge, mit denen sich die grosse Nation der Weltverbesserer sehr schwer tut.
Anekdote zu einem weltberühmten Comic. Ein schöner Tag im Mai am JFK. Good Morning, New
York! Die Zollbeamtin Sweet Jane wirft einen prüfenden Blick über den Pakethaufen auf dem
Tisch. Um die Kante eines grossen, braunen Parcels aus Europa biegt gerade ein
ausgewachsener Cockroach, also, denkt Sweet Jane, das Paket ist als nächstes dran. Adressat
ein amerikanischer Verleger. Bücher, bunte Bücher. Aha, stellt Jane fest, Comics. Sweet Janes
Pupillen rotieren wie Spiralen, statt bei ihrer Nichte landet das fröhliche Blutbad bei der Zensur.
Prozess. Es braucht die Fürsprache amerikanischer Comicexperten wie Art Spiegelman, um
grünes Licht für die US-Veröffentlichung von SQUEAK THE MOUSE zu erreichen.
MM Mit SQUEAK THE MOUSE habe ich die Tex Avery-Sanchen in Richtung Splatter Movie
weitergetrieben, hin zum harten Horror. Das ist ein Comic für Erwachsene, nicht für Kinder. Es gab
da eben Missverständnisse, wie du an dieser US-Geschichte siehst. Da wurde ein uraltes Gesetz
hervorgekramt, ein Paragraph, mit dem man damals schon Henry Miller den Prozess machte. Eine
Art Vergehen im Sinne von Gewalt und Pornografie. Ziemlich interessant, wie die Amerikaner auf
SQUEAK reagierten. Sie verdammten das Buch, als ob etwas im Mickey Mouse-Stil nur sauber im
Sinne von Disney-World sein dürfte. Für mich ist aber SQUEAK mehr als blosse Agitation, die
immer einen intelektuellen Anstrich hat, für mich sind diese Sachen Spiele. Noch mehr als den
Comic liebe ich das Kino, die Horror und B-Movies, enorme Spielquellen für mich. Wenn ich etwas
daraus in die Comics übernehme, hat das immer einen spielerischen Aspekt. Und dann kann man
da natürlich auch Ironie und Kritik sehen.
HK Für mich vorallem bei SUPERWEST deutlich.
MM SUPERWEST ist der typisch dümmliche amerikanische Held, ein totaler Idiot. Ein richtiger
Kriminal-Goofy. Ein All-American Boy, der immer davon überzeugt ist, dass er gewinnen wird, dass
das Gesetz triumphiert und im Grunde hat er nichts kapiert. Eine Verunglimpfug gewisser Stories,
in denen automatisch das Gute siegt und das Böse unterliegt. Viele amerikanische Superhelden
sind vorallem Superidioten.
HK Diese ( americanische ) Reaktion auf deine Art von Horror ist doch bemerkenswert.
MM Man müsste schon eine Moment darüber nachdenken, warum ich Horror zeichne. Vielleicht,
veil Horror und meine Art von Fantasy es mir erlauben, die Dinge zu beschleunigen, den
Geschichten einen gewissen “ drive “ zu geben, ein bisschen die Realität zu verzeichnen und zu
verziehen. Es gefällt mir, zu übertreiben. Horror ist immer noch für viele Leute ein Tabu, von dem
die sich meines Erachten kurieren sollten. Im Märchen nimmt man das ja auch hin, diese Momente
von Rohheit und Gewalt, weil das einfach eine reale Seite der Phantasie ist. Das gilt für Kinder
und Erwachsene, wobei für letztere die Wirklichkeit in Politik und Alltag oft wesenlich brutaler ist als
jedes Phantasiegebilde. Off vergessen die Erwachsenen, dass auch sie Phantasien haben. Früher
waren zum Beispiel Trickfilme ziemlich intelligente und geschmackvolle Angelegenheiten für Kinder
UND Erwachsene. Heute gibt es fast nur noch Produkte, die entweder nur für Kinder oder nur für
Erwachsene sind, die Kinder haben ihre Phantasien und die Erwachsenen ihre anderen, was ich
eigentlich falsch finde. Mir gefällt es, da ein wenig zu mischen, naive Sachen bei den Erwachsenen
unterzubringen und Bösartigesbei den Kindern, damit diese Sektoreneinteilung wieder etwas
durchbrochen wird.
HK Denkst du über die Wirkung deiner Stories auf die Leser nach?
MM Ich betrachte das als einen Diskurs der Phantasien, eine Übertragung meiner Phantasie auf
den, der liest und sich seine eigenen Phantasien gestaltet. Ein spielerischer Diskurs. Bei allem
Respekt für meine potentiellen Leser denke ich beim Kreieren einer Gestalt oder einer Story nie an
mein Publikum. Das ist ein sehr gesunder Egoismus. Ich mache meine Spiele, dabei versuchend,
so kommunikativ wie möglich zu sein, um sie übertragen zu können, ohne – und das ist sehr
wichtig – zu langweilen. Was bedeutet, dass ich mich so klar wie möglich ausdrücken muss. Ob
das dann gefällt oder nicht, ist eigentlich egal – die Geschichten müssen klar sein. Und nochmals:
für mich sind das Spiele. Ich spiele auch damit, verschiedene Stile zu manipulieren, vom Trickfilm
über den Krimi bis zu wasweissich. Es ist, ohne dass ich da unqualifizierte Vergleiche anstellen
möchte, wie bei den Werken und Manifestationen von Man Ray, einer Person und eines Künstlers,
den ich sehr schätze und der einmal gesagt hat, dass es ihm nicht möglich sei, reale Dinge zu
zeichnen, dass er sich viel besser dabei unterhalte, mit den Formen zu spielen. Seine Objekte,
seine Skulpturen – alles Spiele, die man auch noch anfassen kann. Ausserdem sind seine Sachen
sehr einfach, keine Kunst-Quälereien. Diese Auffassung von Kunst, bei der man sich auf sein
eigenes Konto amüsieren kann, gefällt mir sehr das ist für Magie. Dem fühle ich mich verwandt. Da
gibt es auch Ironie, die einen dazu zwingt, sich selbst nicht ernst zu nehmen, es vermittelt einem
den Sinn für das Spiel mit sich selbst, fördert ein Unterhaltungsbedürfnis, das aber nicht passiver
Unterhaltungskonsum ist.
HK B-STORIES?
MM Provokation macht mir Spass. Auch ein Aspekt dieser B-STORIES für den Corto Maltese, ein
leicht snobistisches Comic-Magazin. Es waren schon die geforderten Abenteuer-Geschichten, nur
ein bisschne anders in der Auffassung. Ich landete da wie ein UFO im Heft, meine Abenteuer
hatten nichts mit dem üblichen aufgekochten Revolverhelden-gegen-Böse-Zeug zu tun. Ich
betrachte das Abenteuer-Konzept als eine offene Sache, jede denkbare Story kann ein Abenteuer
sein, auch – lass uns mal damit spielen – die Geschichte des Lesers selbst von einer Geschichte,
die ungewöhnlich ist, wobei er in Kauf nimmt, das ihm diese möglicherweise nicht gefällt.
HK Musstest du denn deine Comic-Auffassung beim Corto Maltese verteidigen?
MM Nein. Der Witz ist, dass Sie auf mich zukamen damit, sie haben mir die Sache angetragen.
Man wusste ja, was ich so mache, aber es war ihnen eigentlich alles recht. Ich schlug ihnen dann
diese achtseitigen Stories vor, die vie eine Serie im Fernsehen funktionieren sollten. Das Ganze
nannte ich B-STORIES in Relation zu den B-Movies, es sollte etwas zu TWILIGHT ZONE
vergleichbares werden, selbst diese Panels mit den Einführungstexten habe ich von dort
übernommen. Irgendwie bin ich wie ein B-Movie in diese blasierte Zeitschrift eingedrungen.
HK Die Farb – und Formsprache der B-STORIES ist sehr reich, es kann ein reiner Funny-Stil à la
SQUEAK THE MOUSE durchgezogen sein vie in THE KILLED oder aber – zum Beispiel in
CRACKED LANDSCAPES #1- ZERO – eine Reminiszenzen-Mischung an Superman
Amerikanismen, David Hockney-Aquarelltechnik und Lichtenstein-Pop.
MM Ich verwende von Lichtenstein, was er davor dem Comic gestohlen hat und transportiere es in
den Comic zurück, mit der zusätzlichen Spielerei, ihm damit eine Hommage zu machen.
HK Cannibale?
MM CANNIBALE fing mit der Nummer drei an, denn damals standen wir alle sehr auf die
Dadaisten und Picabia hatte mal eine Zeitschrift namens CANNIBALE herausgegeben, die es
allerdings nur auf zwei Nummern brachte. Wir knüpften da also mit unserer Nummer drei an.
Durch die Mitarbeit von Pazienza, Liberatore, Tamburini und Filippo Scozzari änderte sich das
Konzept zum kompletteren Magazin FRIGIDAIRE, das einschlug wie eine Bombe. Es hat die
ganze blasierte Mailänder Szene in eine Krise gestürzt: wie bringen Römer sowas Tolles fertig und
warum sind wir nicht früher auf die Idee gekommen, etc.
HK Hast du jemals daran gedacht, sogenannt seriöse Comics zu machen?
MM Nein, nicht eigentlich. Ich denke, ich bin grundsätzlich ein Humorist. Wenn ich seriöse Sachen
probierte, würde sich das immer automatisch deformieren. Mehr als das ‘ vero’ gefällt mir das
‘ vero-simile ‘ ( Realitätsähnliche ), welches ich von allen möglichen Seiten zeige. Das habe ich
von Anfang so gehalten, schon mit meiner ersten Figur, jenem Wurm, den ich in absurdeste
Zusammenhänge stellte. Ganz kleine Zeichnungen mit vielen bunten Sachen darauf und diesem
Wurm, der weder Arme noch Beine hat und trotzdem alles mögliche bewerkstelligt. Ein Comic
kann natürlich auch literarische Qualitäten haben, Mattotti oder Pratt machen gezeichnete
Literatur. Ich ziehe es vor, auf einer anderen Stufe zu stehen, vielleicht eine Stufe darunter – bei
den B-STORIES. Ich denke da aber eigentlich nicht weiter drüber nach, ich reflektiere kaum über
mich selbst und mag es nicht, die Richtungen meiner Ideen zu klassifizieren oder Kritiker meiner
selbst zu sein. Es gefällt mir, dass ich mich selbst nie ganz kenne.
This interview was published in the Swiss magazine Strapazin N.25, together with the B-STORY “ The Killed – Scar Phase “.
HEI, JOE… – By Francesca Allinovi.

Image from “ Joe Galaxy e le perfide Lucertole di Callisto IV “, episode # 2.
Joe Galaxy, il “ gran viaggione “, l’ “ avventurista dello spazio “, è invece un gran pigro che
sonnecchia al sole. Non sa che fare tutto il giorno, e così anche i suoi androidi se la squagliano per
“ sgranchirsi un po’ “, e gli combinano guerre stellari giocate a colpi di elettroencefalogrammi e di
matches di fantasia. Una fantasia decisamente pornoerotica, che sogna avventure da 007
mescolate ad amplessi orgiastici con “ dhelizyose “ fanciulle dai forti appetiti.
Joe è un selvaggio dell’era postelettronica che ha scelto la vita tranquilla perché, dopo il caos, il
deserto. Forse, nell’era in cui vive Joe, le guerre interplanetarie sono finite, le lotte tra bande rivali
galattiche sono roba da medioevo ( o da fumetto ), e uno non sa davvero dove sbattere la testa per
far venire sera. Joe recupera piaceri semplici: starsene seminudo a pancia all’aria sotto
l’ombrellone, succhiarsi con la cannuccia una Coca Cola gelata, esibirsi eventualmente in safari
dal successo garantito. Il “ Ghiase “, il mostro informe che arranca come un bisonte all’orizzonte, è
grande come una montagna e Joe, col suo fucile a doppia canna e l’elmetto coloniale, va a colpo
sicuro. Non ha nemmeno bisogno di prendere di mira il bersaglio, perché tanto quella massa
informe è una gelatina pronta ad afflosciarsi per lui. Joe ha vita facile, e se la spassa senza fatica.
Il suo doppio, invece, l’androide di plastica, una ne fa e cento ne pensa. Impossibile tenere sotto
controllo i percorsi tortuosi delle sue circonvoluzioni cerebrali: roba da far scoppiare la testa anche
ai cervelli più fini; come appunto succede a Gornch, il campione interplanetario suo avversario
nella matchstory televisiva, di pregiatissima razza twhootiana.
Ma io sono partita dalla fine, mentre la storia di Joe Galaxy finisce da dove inizia. O meglio, dopo 8
puntate di dieci mesi ci si accorge che i tempi narrativi sono quelli di un flash: una partita a scacchi
di fantasia giocata sulle onde istantanee dei neuroni cerebrali. Joe l’androide, il doppio del Joe
selvaggio postelettronico, simula mentalmente un “finto“ che riproduce a sua volta un altro “finto”.
E il Kagemusha ombra, in questo caso, davvero non è che un’ombra ( senza l’originale ), e la sua
lezione rebus tra mostriciattoli della quarta puntata, fuori dalla storia, impartita dal professore verde
quattro braccia senza gambe, che disegna sulla lavagna due perfette identità geometriche, getta
sul tappeto la questione senza soluzione della reversibilità tra il doppio e il suo reale. “ Cosa
succede se tagliamo il filo di reversibilità?… un gran casino! “, o, più patafisicamente, “…una
sbavatura dimensionale, detta anche sindrome dell’inesistenza “.
Joe Galaxy è un capolavoro a incastro di scatole cinesi che scorrono avanti e indietro a ritmi di
replays e flashbacks, con il piacere della narrazione avventurosa, piena di colpi di scena e intrecci
a catena. Ogni puntata segue uno schema di presentazione diverso ( a serial, a facciate di disco, a
fotogrammi, a strisce verticali, a vignette alternate ), e Joe viene disegnato, dipinto a pennarello,
colorato a tempera, a matita, ritagliato in lucidissimi retini. I retini, usati con straordinaria abilità da
Massimo Mattioli, si incastrano gli uni negli altri come le trame delle storie, e ribaltano Lichtenstein
esibendo gli splendori della tecnica pura tipografica contro la pittura del pennello. Le campiture di
colore sono veramente à plat, e si incurvano come dei Matisse rifatti da Wesselman.
Eppure la storia è trucida, e niente affatto elegante. I morti non si contano ( almeno 20? ), è
un’ecatombe di mostri bitorzoluti, tentacolari, molli, viscidi, magmatici, ibridi come l’universo
intermedio e geneticamente degradato entro cui si muove l’intera vicenda. Solo il deserto è puro e
immacolato: un bauhaus della crosta terrestre depurata. Tutto il resto è orribilmente contaminato.
Antares, il pianeta contro il quale si accaniscono le perfide lucertole di Callisto IV ( che tentano la
carta infida del “ cavallo di Troia “ olografico ) è un pornoshop su scala planetaria, un bordello di
esseri falliformi a orgasmi multipli. Joe ne approfitta subito ( lavorando, ovviamente, di
immaginazione, data l’insensibilità obbligata dei suoi organi di plastica ). Dhelizya, la bellissima
meowiana che lo coinvolge nell’intera faccenda del microfilm, è una ninfomane nercisista avida di
piaceri di ogni tipo. Il governatore, anziché occuparsi degli affari di stato, perde tutto il suo tempo in
“ stupide eiaculazioni colloidali “, come lamenta Pedro il sensitivo costretto a far la fine di
Cassandra.
Le perfide lucertole di Callisto IV, dette volgarmente “ ramarri “ da Joe, rappresentano, contro il
morbido erotismo di Antares, una rigida organizzazione militarista retta da un generale di ferro che
si serve. per i suoi sordidi scopi imperialisti, di brutti ceffi dall’aria rude e sciovinista. Lars, la testa
di cuoio che nasconde il microfilm innestato sintochirurgicamente nell’occhio sinistro, è una zucca
pelata inespressiva. I robocani sono dei mastini di acciaio dalle fauci a squalo. Gli uomini di
ghiaccio sono dei supermen che hanno in odio il calore, e per questo prediligono bruciare i nemici
tra le fiamme, spalancando occhi bianchi senza pupilla.
Ma cosa c’è, insomma, nel microfilm? Nel microfilm è registrata l’immagine di milioni di luridi
lucertoloni invasori che non aspettano altro che di essere proiettati fuori, come dalla piastra di un
ologramma, da raggi ottici potenti come laser per diventare illusioni reali, spezzando di nuovo il
fatidico filo di reversibilità tra l’immagine e il suo prototipo, il doppio e l’originale.
Ma questo per Joe, che sonnecchia ai piedi dell’ombrellone, è un gioco da ragazzi, un passatempo
per stupidi androidi.
Preface from the book “ JOE GALAXY E LE PERFIDE LUCERTOLE DI CALLISTO IV “.
SUPERWEST COMICS # 1 – By Dale Luciano.

Image from the USA book edition “ Superwest Comics # 1”.
Superwest Comics #1 by Mattioli is broad, cartoony comic book satire. I was prepared for a
disappointment – so many comics now are inspired by other comics – but there’s a demented,
surreal craziness to Mattioli’s antics here and in Squeak the Mouse that propel them into the realm
of inspired lunacy. Mattioli is a gifted and no-holds-barred comics farceur – you feel he’s
abandoning any constraints ever imposed on a funny animal artist. And his style is terrific. He’s
distilled the comics form down to a series of broad, boldly rendered outlines. The images have
such elemental shape and clarity, you may feel you’ve encountered some new 3-D process.
He’s also reduced dialogue to the equivalent of the simplified visual scheme. This funny animal
comic is among the least talky comics in memory. And Mattioli keeps the whole enterprise rolling
along at a breakneck clip.
“ Superwest “ is a blundering, zonked-out caricature of the costumed superhero – he looks like he
might barely manage tying his shoelaces – and it’s a mystery to me what it is he tosses into the air
to trigger the transformation to his “ Superwest “ persona. The stories are insipid – but intentionally,
preposterously, insanely insipid. Superwest wages war against killer hot dogs, mean little critters
who savagely attack everybody in sight. Superwest investigates and discovers the hot dogs are the
byproduct of a werewolf’s having fallen into a meat-grinder in a meat processing plant. The story
concludes with a frenzied populace, urged on by Superwest, destroying every meat product in
sight. ( When Mattioli announces the death toll at story’s end, it includes “ all the hot dogs, 150,000
people, 5,000 dogs, 1,500 cats, 20,000 steaks, 18,000 chickens, 30,000 hamburgers, 130
zucchinis and 70 hams. “ )
I can’t make this sound like it would ever amount to anything as a story, but in Mattioli’s hands, it is
the occasion for some goofy, memorable dada.
There are two stories – more like blackout sketches, really – I especially enjoyed. “Cartoons hold
up” features Superwest tracking down a gang of bank robbers disguised as Walt Disney
characters. The various gags and the nifty climax are built entirely on visual puns, and Mattioli
clearly relishes the sardonic humor underscoring this four-pager. “Scanner” is a funny satire of the
David Cronenberg film Scanners. Mattioli has a jolly, perverse time mocking Cronenberg’s
exploding heads, and, in a real visual flourish, he renders them in a painterly mode that is
unexpectedly beautiful and grotesquely funny.
Mattioli is madly inventive, and his stuff is a wildly playful tinkering with some of the nuttier
possibilities of the medium. Maybe you have to be warped to enjoy it, but Superwest Comics #1
struck me as great fun. ( It is also clearly labelled “ Adults Only “ )
Book review as seen in The Comics Journal #117 – September 1987. © The Comics Journal, inc.
GLI STATI UNITI CONTRO UN TOPO – An interview with Lorenzo Miglioli.

Image from “ Blood feast “, episode # 2 of Squeak the Mouse.
E’ “ Squeak the Mouse “, fumetto porno-horror umoristico di Massimo Mattioli. Un caso nascosto
di censura: ce ne parla l’autore.
Kennedy Airport. Alla dogana. Il periodo è quello tra la fine di luglio e l’inizio di agosto del 1985.
Alcuni pacchi contenenti 1500 copie di una pubblicazione a fumetti proveniente dall’Europa sono
posti sotto il controllo degli ispettori all’importazione. Uno di loro, in questo caso una donna, ne
apre il container, lo esamina e lo richiude con la decisione di non riaprirlo mai più. Decide anche
però di non farlo aprire mai più a nessuno, almeno per quanto riguarda il territorio USA, e lo
incrimina di essere ‘ materiale osceno e pornografico ‘ bocciandone l’entrata nel paese.
Il fumetto in questione è “ Squeak the Mouse “ di Massimo Mattioli, autore tra i più affermati del
genere, venduto dal detentore dei diritti, l’editore francese Albin Michel, alla Catalan
Communications di Bernd Metz.
Bernd non si vuole arrendere alla decisione per lui ingiusta e porta l’intera vicenda in tribunale.
Chiede un procedimento di fronte ad un giudice, in quanto quello con la giuria risulta molto più
costoso. La sua domanda viene accuratamente evitata e si istituisce una giuria per il caso, che si
terrà verso la fine di settembre. Bernd deve accettare.
Al processo contro Squeak si schiera il Governo degli Stati Uniti, rappresentato da un procuratore
che non lesina. Le argomentazioni sono pesanti: il fumetto viene accusato di oscenità, aggravata
da scene in cui compaiono esplicitamente sesso e bestialità, nonché mutilazioni varie. L’accusa
cardine però è basata sul fatto che per vendersi “ Squeak “ fa apertamente appello ad un ‘ prurient
interest’, che tradotto suona come: ‘ interessi libidinosi e/o lascivi ‘. La difesa viene curata da due
personaggi autorevoli nel mondo del fumetto USA: Maurice Horn, noto storico del genere ( autore
di ‘ Sex in the comics ‘ e di ‘ Enciclopedia of comics ‘ ) e Françoise Mouly, coeditrice di ‘ Raw ‘, la
rivista di Art Spiegelman ( di cui è anche moglie ). Le loro motivazioni per il non luogo a procedere
prendevano lo spunto dal fatto che alle copie era allegata la targhetta ‘ adults only ‘, e che pertanto
il pubblico era stato avvisato. Per quanto riguardava i contenuti, invece, non era possibile non
accorgersi del gioco sui generis che costituiva Squeak, basato sulla desacralizzazione delle
convenzioni del tipo ‘ funny animals ‘. Insomma si richiedeva il diritto di riconoscimento ad un’opera
per adulti in grado di giudicare in modo individuale se essere disgustati o no.
Il processo durò due lunghi giorni, poi la giuria, composta di 4 donne e 2 uomini, emise la
sentenza: innocente!
Crearono così un precedente storico nella storia dell’emendamento per oscenità della Corte
Distrettuale di New York. La quale non ritenne di appellarsi al verdetto. La stampa USA diede
ampio spazio alla dipartita, presentandola come una sorta di vendetta per un caso omonimo del
1973 che colpì Henry Miller, per mano di un giudice californiano che creò in tal modo la
motivazione di ‘ prurient interest ‘, rendendola costituzionale. Ma, c’è sempre un ma, gli albi non
vennero ancora dissequestrati, per permettere agli investigatori di rilevare se era stato violato il
copyright della Walt Disney Prod., comparendo nella pubblicazione un Topolino e un Paperino. Agli
inizi del 1986 finalmente la vicenda si sbloccava e gli albi, muniti di una nota contenente
l’avvertimento processuale, venivano messi in vendita. Inutile dire che si sono esauriti in tempo
record, e che gli altri albi sono su una nave in procinto di sbarcare sulle coste ben difese di Long
Island.
LM Come è nata l’idea di fare “ Squeak the Mouse “?
MM “ Squeak the Mouse “ è nato come storia singola, la consideravo come un divertimento, volevo
fare qualcosa che ricordasse il cartone animato, mettendoci poi dentro il feroce e l’inaspettato
rispetto, non so, a Tom & Jerry.
LM Un horror fatto da pupazzi?
MM Sì. La violenza dei cartoni animati è sempre gommosa, non è iperrealistica: diventa realistica
invece sulla deformazione del personaggio, che può sgretolarsi, farsi a pezzi e altro ma poi si
ricompone sempre. Nel mio fumetto c’è uno strappo al gioco. IL topo muore veramente,
spiaccicato in modo schifoso contro un muro, con il gatto che lo mangia dopo essere stato preso
per il culo fino a quel punto.
LM Lo hai continuato, però…
MM Sentendo le reazioni e le numerose richieste decisi di continuarlo, di portare avanti l’idea e
dare fondo alle mie libidini, ai miei amori. E così feci, elaborando tutta una serie di elementi
americanissimi riferiti in massima parte al cinema più che al fumetto.
LM E quali sono questi riferimenti?
MM In questo, le mie libidini hanno puntato su: ‘ La casa ‘, ‘ Venerdì 13 ‘, ‘ Non aprite quella porta ‘,
‘ Le colline hanno gli occhi ‘, più alcune spennellate varie, tra cui Romero. Ho accuratamente
evitato Dario Argento, che non mi piace.
LM Parlami della famosa sequenza porno.
MM L’ho inserita in modo esplicito, con l’etichetta ‘ X rated sequence ‘. Sono comunque 3 pagine
che mi sono servite per allentare un po’ la tensione e preparare lo spiazzamento di fronte al
massacro finale.
LM Ma l’eroe è il topo e non il gatto?
MM Certo. Il topo Squeak tornerà come zombie, ad ogni puntata sarà sempre più putrescente,
sempre più morto. Il mio era un divertissement assolutamente non letterario. Anzi, lavorato con
una accelerazione dei ritmi, tipicamente cinematografica. Ho inserito infatti un altissimo numero di
vignette e di inquadrature possibili, così da farlo diventare un horror interpretato da pupazzi che si
scannano tra loro in modo realistico.
LM Cosa ti ha dato o lasciato questa vicenda?
MM Mi ha gasato tantissimo. Penso che presto pubblicherò anche “ Superwest “ in USA, più un
altro lavoro che preparerò apposta. Mi ha stimolato la reazione di fronte ad un prodotto più
americano degli americani stessi, il successo che poi ha avuto. Vorrei anche scrivere una
sceneggiatura di cinema, sempre per quella accelerazione dei ritmi che ridà alla gente la
possibilità di stimolarsi per non rimasticare sempre le cose e le idee degli anni ’70. Questa è anche
la stanca del fumetto odierno, nonostante che qui in Italia, in questo processo di modifica del
gusto, si sia rinnovato più del cinema.
This interview was published in the newspaper ‘ Reporter ‘.
COMICS – A GLOBAL HISTORY, 1968 TO THE PRESENT.

Page from “ M le magicien “.
Italian cartoonist Massimo Mattioli’s M le Magicien, which first appeared in 1968 in the venerable
French children’s magazine Le Journal de Pif, followed the classic format of the newspaper gag
strip: a small cast of characters, in a near-abstract setting, occupied with a seemingly infinite series
of variations on a few basic conflicts the simplicity and repetition of which becomes almost
existential. Mattioli’s main characters are a tiny wizard, a long-tongued chameleon and his many
insect victims, along with talking flowers, flying-saucer aliens and other anthropomorphized
whimsies. Much of the humor derives from self-reflective visual playfulness with the medium,
including frequent references to Herriman’s Krazy Kat. M le Magicien ended in1973, but the
evolution of Mattioli’s work was still in its early stages; later in the decade he would become one of
Italy’s pioneering alternative cartoonists.
Mattioli’s whimsical playfulness often made explicit references to the cartoon medium itself. The
wizard sometimes takes on some of the artist’s duties, manipulating the colors or would play with
the frame borders and draw new characters with his magic wand.
In the 1981 cartoon Panic in the City – Starring Superwest, in the guise of creating a funny, animal
superhero comic for children, Mattioli playfully foregrounds both the abstract qualities of the page
and the bizarre minimalism of the genre through touches such as the rectangular window full of
dimensionless identical iconographic faces, with its undifferentiated “ they “, or the personification
of the panicking city with the cartoon eyes , and the abstract use of selective rather than
descriptive color. With his flat, arbitrary patches of bright primary colors, Mattioli turns the fumetti
page into a Mondrian-like color grid.
Excerpts from the book “ Comics – a global history 1968 to the present “ curated by Dan Mazur and Alexander Danner. © 2014 Thames & Hudson Ltd, London.
C’È UN PAPERO NEL CLIP.

Study frame for the video clip “ Change his ways “ by Robert Palmer.
Momento felice per un protagonista del fumetto italiano, Massimo Mattioli, autore di pagine
fanta/satirico/horror per Frigidaire e Corto Maltese.
Il musicista inglese Robert Palmer, folgorato dal suo albo “ Squeak the Mouse “ ( di cui abbiamo
parlato diversi anni fa su Donna, all’epoca dell’uscita italiana ), ha ingaggiato Mattioli dall’oggi al
domani per ideare il clip del suo nuovo pezzo “ Change his ways “.
Sesso, peccato, brivido e ironia tra una papera procace e un papero imbranato, in uno scenario di
giungle, autostrade e interni cittadini, sono gli ingredienti del cartone animato creato ad hoc da
Mattioli e realizzato in questi mesi negli studi della EMI di Londra. L’unico personaggio non
disegnato è, naturalmente, Robert Palmer, che si aggira fra cuori canterini e animalesse – ballerine
supersexy.
Cartoon video clip review from Donna magazine.
UN CONIGLIETTO ROSA PINKY – An interview with Carlo Branzaglia.

Image from the Pinky story “ ‘Sto ballo “.
Impossibile da intervistare, Massimo Mattioli non ti chiude la porta in faccia, anzi. Ti fa entrare, è
simpatico, chiacchiera. Ti coinvolge, piano piano ma implacabilmente, raccontandoti le cose che
piacciono a lui: musica, cinema horror, New York, i vecchi cartoni animati di Tom & Jerry. E
fumetto, naturalmente, essendo lui uno dei più importanti fumettisti dell’attuale scena italiana. Ma
di intervista, nemmeno l’odore.E così, nel frattempo, ci pensi su. Ricordi che era nel gruppo di
Cannibale – assieme a quel po’ po’ di fumettisti che si chiamano Pazienza, Tamburini, Liberatore e
Scozzari.
E poi ripensi alla loro trasmigrazione su Frigidaire, la rivista che ha sconvolto il panorama locale
del settore. Infine, si è unito a quelli di Valvoline, il gruppo di fumettisti più eleganti della nuova
generazione. Impossibile da intervistare, dicevamo. Preferisce divagare, infatti, piuttosto che
affrontare l’argomento che ci interessa. Ma alla fine ci conquistiamo l’OK per farlo parlare un po’
anche di Massimo Mattioli.
CB Pochi, forse, sanno che tu sei anche un autore di fumetti per ragazzi. Come concili il tuo
coniglietto rosa PINKY, pubblicato da “ Il Giornalino “, con i tuoi fumetti di Cannibale e Frigidaire?
MM Non li concilio affatto. Però li faccio coesistere. Così come faccio coesistere la pubblicità per i
pannolini Pampers con le illustrazioni per Vogue, con i graffiti distrutti a colpi di sega a motore, con
le t-shirt di moda, con le mostre in galleria d’arte, con il porno…Pinky mi piace perché è totalmente
cretino, è una cosa piuttosto fuori registro, un po’ bislacca, senza una struttura, al contrario di tutto
il resto del giornale su cui viene pubblicato. E poi mi diverto a farlo, e questo per me è importante.
Non potrei mai lavorare su commissione, solo per i soldi. Oppure quando lo faccio, visto che i soldi
mi piacciono, faccio in modo di trasformare la commissione in qualcosa di mio.
CB Il Giornalino è un settimanale che pone dei limiti piuttosto forti però…
MM Mica tanto, in fondo. E poi PINKY è un grosso bluff, come tutto quello che faccio. Io adoro il
bluff perché è ambiguità, è non prendersi mai sul serio. Però è anche prendersi molto sul serio, è
divertimento, è illusione e fantasia, proprio quello che più mi piace comunicare.
CB La parola divertimento ricorre spesso nel tuo vocabolario.
MM Certo che sì! Per me parte tutto da lì. Non solo in PINKY ma anche in tutte le altre cose che
faccio. Il divertimento è sempre comunque il filo conduttore. Non trovo differenza fra i miei fumetti
che vengono definiti “ easy “ e quelli che invece vengono giudicati “ colti “ tipo quelli che faccio per
Frigidaire. E’ una distinzione che per me non esiste. Perché complicarsi la vita mettendosi a
tavolino a programmare banalità o genialità?
CB Ciò non toglie però che nelle cose che fai ci siano anche degli elementi marcatamente
concettuali come, ad esempio, in certi punti di “ Joe Galaxy e le perfide lucertole di Callisto IV “.
MM Perché no? A pacchi! Secondo me anche queste cose possono essere molto divertenti.
Comunque nel caso specifico di Joe Galaxy tutto è venuto fuori puntata dopo puntata senza
nessuna sceneggiatura, e questo ha lasciato via libera a tutto quello che mi passava per la testa di
volta in volta. Nel periodo della prima pubblicazione della storia su Frigidaire mi ritrovavo, a volte,
ad avere a disposizione solo due pagine per puntata e la storia si sviluppò anche in base a questo.
Ma molti lettori hanno trovato più sofisticati altri aspetti di quel fumetto, o addirittura l’intera storia.
Parecchi poi, anche se si divertivano, ogni puntata ci capivano sempre meno ( e anch’io ) e solo
quando è uscito l’albo hanno ricucito tutto insieme ( e anch’io ).
CB E i critici, qualche anno fa a Lucca, ti hanno premiato con lo Yellow Kid come miglior fumettista
italiano.
MM Sì. Per un po’ quella statuetta m’imbarazzò. Mi sembrava fosse lì a ghignarmi dietro, come a
dire “ t’ho beccato “. La sentivo come timbro, come se attraverso essa fossi stato definitivamente
classificato e catalogato. Esattamente l’ultima cosa che voglio.
CB A questo proposito ci pare infatti che molta dell’energia, dell’intensità che sprigionano i tuoi
lavori venga proprio da questo contrasto del lavorare su materiali di massa al di fuori però di una
logica di mercato.
MM A me la logica di mercato va benissimo. Non mi va bene mummificarmici dentro. I materiali di
massa mi piacciono quanto i materiali d’élite. Entro certi limiti questa distinzione si può eliminare
utilizzandoli entrambi, giocando con tutti gli elementi di cui si ha voglia e ottenere come risultato
una storia che ha diversi livelli di lettura: dai cretini agli yuppi.
CB Che cosa ti accomuna agli altri fumettisti del gruppo Valvoline?
MM Varie cose. Ma soprattutto questa libidine del manipolare tutti gli elementi dello spettacolo a
immagini allontanandoci dal fumetto codificato e allo stesso tempo citandone tutte le formule.
CB Tu poi sei un predatore onnivoro: da un Magritte modificato con pera a ritagli di Supersex a
stralci di orari ferroviari mischiati a libri di Stephen King e a foto di teschi verminosi.
MM Yeah.Mi sento come Africa Bambaataa.
CB Ti senti un dee jay?
MM Tantissimo, da pazzi. Fare un fumetto per me è come manipolare un ambiente da discoteca.
Come un deejay che mixa, maneggia, fa lo scratch, anch’io lavoro su materiali malleabili che
perdono le loro caratteristiche originarie per assumerne altre. Mi piace rubare Lichtenstein, Hanna
e Barbera o Disney, ma i miei personaggi non hanno niente a che vedere con i loro, sono
completamente un’altra cosa.
CB E per quanto riguarda il tuo segno così instabile, usato in base ad una logica di mutazione
continua?
MM Io non sono come un anno fa, e fra un anno sarò ancora diverso. Le situazioni cambiano
velocemente e cambi anche tu, il tuo metabolismo, le tue ricette, il tuo gusto e il tuo stile.
CB Torniamo per un attimo alla musica. Mi sembra che occupi un ruolo importante nel tuo lavoro.
MM Amo la musica forse più dei fumetti: penso che sia la forma più alta della creatività umana e
anche la più indecifrabile. Tutti i miei fumetti sono stati più che influenzati, addirittura disegnati
dalla musica che ascoltavo al momento. E spesso ho fatto giochi di citazione, come in certe storie
che venivano presentate come se fossero un disco, con tanto di copertina e di titoli dei pezzi.
CB In questo senso la cosa più indicativa ci sembra sia stata “ Frisk the Frog “, che hai fatto per
Frigidaire.
MM Frisk the Frog l’ho ideata come un vero e proprio fumetto-disco rap. Questa è stata una storia
pazzesca perché poi Maurizio Marsico l’ha musicata per davvero e ne è uscito un vero disco e
quindi un videoclip! Beh, non capita tutti i giorni di ballarsi un proprio fumetto in discoteca, no?
This interview was published in the magazine “ Jonas “ N.9/10 – July/August 1985.